Le donne in piazza per il pane e la nazione
Se la guerra ebbe inizio negli stessi giorni per gli uomini e le donne, la sua fine si sarebbe svolta invece nella piena diversità di tempi e di modi. Per le donne dell’Isontino, che si erano rifugiate nelle regioni vicine del Litorale e della Carniola all’inizio degli scontri tra l’Italia e la monarchia austro ungarica, la fine della guerra coincise con lo sfondamento di Caporetto. Ciò solo nel caso in cui il nemico non avesse distrutto le loro abitazioni. Lo spostamento del fronte verso la Pianura padana avrebbe potuto assicurare il rientro anche ad altre donne che erano state sfollate in altri profughi creati per primi sul territorio dell’Austria. Di fatto però le condizioni generali di privazione e di scarsità di risorse per la ricostruzione, nonché la confusione generale che regnava nell’area e che sarebbe continuata per tutto il 1918, impedivano il rientro della popolazione sfollata. Inoltre le devastazioni compiute soprattutto dall’esercito tedesco nel Friuli e nella Pianura padana costrinsero altri strati della popolazione femminile di quei luoghi a vivere in uno stato di costante insicurezza e paura, dato che i vincitori della prima fase di guerra diedero sfogo ai peggiori istinti con saccheggi e stupri.
In tutti i paesi in guerra cresceva il malcontento tra le donne sia a causa delle privazioni sia perché era diventato sempre più difficile mantenere i rapporti con i propri mariti, figli e fidanzati che combattevano al fronte. Il numero di vedove, di madri e di promesse spose in lutto nonché di orfani e orfane andava inesorabilmente aumentando, facendo in questo modo crescere la percezione legata alla tragica perdita dei propri cari. Altre donne erano invece costrette a far fronte alle devastazioni lasciate dalla guerra sui corpi e nelle menti dei loro cari. I sacrifici imposti dalla guerra diventarono così pesanti che tra le donne il patriottismo incominciava a volgere in resistenza. La loro sopportazione era venuta meno di fronte alle inefficienze dei sistemi di approvvigionamento e alle condizioni imposte dal mercato nero. Soprattutto le donne delle classi meno abbienti, come le operaie ma anche le appartenenti al ceto medio, nei loro nuovi ruoli lavorativi si erano spesso poste alla guida degli scioperi e del movimento pacifista. Le donne di tutti i ceti e di tutte le nazionalità incominciarono a pretendere la fine dello stato di guerra e il ritorno dei loro congiunti. Come ricompensa per il loro impegno patriottico dei primi anni di guerra chiedevano in alcuni casi un indennizzo di carattere politico, ossia il suffragio universale, e quindi il voto alle donne, e maggiori diritti sul luogo di lavoro. Nei territori sloveni, in quanto appartenenti al movimento per l’indipendenza, le donne chiedevano una nuova patria per la propria nazione.
Economia e politica dell’occupazione
Il quart’anno del conflitto mondiale si svolgeva nel segno di un economia di guerra che tendeva ad assorbire tutte le energie alle donne. Quando gli Stati Uniti entrarono in guerra anche le donne americane erano state chiamate a dare il loro contributo sul «fronte interno». Nel contempo l’uscita della Russia dalla guerra aveva provocato la riduzione della forza lavoro femminile nell’industria bellica e nella logistica militare, mentre in tutte le nazioni belligeranti il numero delle donne occupate tendeva ad aumentare, anche se in maniera differenziata in relazione sia ai settori economici che alle caratteristiche delle singole regioni.
Dopo lo sfondamento di Caporetto i territori sloveni non facevano più parte delle retrovie a ridosso del fronte. Ciò ha avuto notevoli ripercussioni sulle dinamiche del mercato del lavoro locale e sulla politica dell’occupazione programmata per le popolazioni dei territori sloveni. Alla cartiera di Vevče e alla Manifattura tabacchi di Lubiana incominciarono ad assumere forza lavoro femminile a partire dai primi mesi del 1918, mentre l’economia continuava a soffrire per la stretta imposta dalle condizioni di guerra. La ricerca dell’occupazione si svolgeva in prevalenza lungo vie informali. Le pessime annate e le difficoltà nell’importazione delle derrate alimentari e delle materie prime facevano sì che la domanda di braccia femminili aumentasse soprattutto nel settore agricolo.
Moda
La Prima Guerra Mondiale ha prodotto notevoli conseguenze anche nel campo della moda. Le privazioni imponevano l’adeguamento sia dei materiali che dei modelli: le gonne diventavano più corte e inoltre tendevano a sparire i vitini da vespa assieme alle silhouette a forma di “S”. Questi nuovi orientamenti nascevano dai bisogni dai quali scaturiva pure l’esigenza di impiegare nuovi materiali. Alle capitali della moda, quali Parigi e Vienna, incominciava a contrapporsi, nella geografia europea dello stile, anche l’Italia.
Le trasformazioni indotte nel mercato del lavoro, che avevano portato ad assumere le donne per lavori tipicamente maschili, introdussero una vera rivoluzione nell’abbigliamento da lavoro. Per le necessità delle infermiere, delle operaie, delle conduttrici dei tram, per le addette al servizio sui treni venivano confezionati nuovi abiti da lavoro o uniformi, per i quali era di importanza primaria la praticità, l’utilità e l’economicità dell’abbigliamento.
Su un altro versante tra le innovazioni introdotte vi erano anche quelle attraverso le quali le donne potevano esprimere i loro sentimenti patriottici e quindi la loro adesione alla nazione in guerra. Nastrini, riprese, distintivi, cravatte e altri accessori, che spesso richiamavano i colori dei vessilli nazionali, servivano a confermare l’adesione delle donne alla guerra, soprattutto tra le più giovani.
Nuove ondate di rifugiati
Durante il 1917 nell’Isontino le ultime tre offensive erano state accompagnate da altrettante ondate di sfollati, delle quali le ultime due rivestono maggior importanza. L’undicesima offensiva italiana provocò un esodo massiccio dall’altipiano della Bainsizza. Gli sfollati vennero sistemati nell’immediato retroterra del fronte, dove si insediarono. La dodicesima offensiva austro-tedesca causò sul fronte sud-occidentale il più massiccio esodo di popolazione rispetto agli anni precedenti. Invece durante la ritirata dell’esercito italiano furono costretti alla fuga dal Veneto e dal Friuli più di 500 mila civili, per lo più donne, bambini e anziani.
Considerato che nell’Isontino lo stato straordinario di guerra fu già interrotto nel novembre del 1917, i civili sfollati incominciavano a tornare alle loro case, per quanto il ripristino degli edifici e delle infrastrutture procedeva molto a rilento. Le vite degli uomini e delle donne che rientravano erano gravemente minacciate dagli ordigni rimasti inesplosi. Perciò, a causa delle condizioni di vita disagiate e della confusione generale che regnavano nei luoghi dove si erano svolti i combattimenti, le autorità austriache cercarono di fare il possibile per ostacolare i rientri dei rifugiati sino alla fine della guerra.
Vir: Vpis v župnijski kroniki Krope, 8. 10. 1917. (Archivio della Curia Arcivescovile di Gorizia)
Strašna je bila tista noč za ljudi: ceste zaprte od vojaških transportov in miniranja iz Banjšic, polno stokajočih ranjencev, granate žvižgale, otroci jokali, večina nosila po večkrat tisto noč najnujnejše na Lazno proti Gor. Trebuši. Vboge matere z otroci! Konja nikoder, voza nobenega na razpolago.
Gli effetti della fine della guerra sulla popolazione civile
Nel 1917 le autorità militari austriache avevano assoggettato completamento la produzione agricola ai bisogni della guerra. Nelle condizioni di indigenza generale aumentavano rapidamente i piccoli reati commessi dalle madri e dai giovani, tanto da indurre l’imperatore ad emanare un’amnistia per i reati minori quali il furto. Le autorità cercavano, per mezzo di programmi educativi pomeridiani concepiti a tal fine, di allontanare i giovani dal delinquere e quindi dalla strada. I militari che tornavano a casa erano accolti da grandi festeggiamenti, anche se il loro ritorno, così come la loro partenza per il fronte, produceva un notevole impatto sia sulla sfera privata che su quella pubblica. Infatti molti dopo il congedo rimanevano disoccupati. Moltissimi erano gli invalidi e i malati psichici, il che andava ad influire in modo negativo sui rapporti personali all’interno della famiglia e sulle condizioni di vita delle famiglie. Il peggioramento dei livelli di vita fu causa di tassi di mortalità più elevati. Le epidemie della dissenteria e della spagnola, che si erano diffuse durante gli ultimi due anni di guerra e negli anni successivi, causarono un numero molto elevato di vittime tra tutti gli strati
della popolazione.
O žalosti žensk, mater, žen, zaročenk padlih vojakov so pisali slovenski literati.
Vir: Dom in svet, 1–2/1918. (www.dlib.si)
Žena padlega vojaka.
Rodila sem, nesrečna. In nikjer očeta.
Strašnó je. Rada bi bilà zaničevana.
Vsi tihi so. Pogledi v me, kot da sem sveta.
Iz hiše rodne rada bi bila izgnana.
Ne radi tebe, mali.
Ne radi vas, kateri ste v daljavi pali,
med kterimi je tudi srce moje bilo.
Vi moji ste. Srce bolesti bi za vas nosilo.
O, radi tebe, svet! prokletstvo nate in gorjé!
Razdrta je prisega sveta.
Me rodimo kot nezákonske žené.
Otroci naši nimajo očeta.
Ah, bolje umreti! Ko zvečer žené
z možmi, z otroki se hladijo, poka mi srce.
In če vprašajo otroci po očetu kdaj,
kaj odgovorim jim mati naj?
France Bevk
Stupri
Durante gli anni della Prima Guerra Mondiale le donne si trovavano costantemente a dover fronteggiare la minaccia dello stupro, soprattutto nelle zone occupate in Belgio, in Serbia, nelle regioni nordoccidentali della Francia, in Armenia, nei territori dell’impero austroungarico e in Italia. Lo sfondamento austro-tedesco a Caporetto e lo spostamento dei due eserciti in Friuli e nella Pianura padana erano accompagnati da voci di stupri di massa. In alcuni casi si era trattato di voci diffuse ad arte dalla propaganda italiana, in altri casi invece non potevano che essere la pura e crudele realtà che colpiva la popolazione femminile inerme.
Gli stupri avvenivano sia in luoghi chiusi e protetti, ma anche in pubblico di fronte agli sguardi delle popolazioni umiliate e sconfitte. Alcune donne subirono questa violenza più di una volta, per cui oltre ad essere segnate da un ricordo traumatico indelebile, dovettero pure sopportare le conseguenze sia di malattie sessualmente trasmissibili sia di possibili gravidanze indesiderate.
In realtà le pratiche degli stupri non erano limitate unicamente ai territori occupati. Gli stupratori potevano anche provenire dalle file degli eserciti amici. Le donne slovene erano di fatto minacciate anche dai militari dell’esercito austroungarico. Per quanto nella legislazione imperiale fossero previste pesanti pene per il delitto di stupro, i responsabili di questi crimini venivano perseguiti di rado.
Italijanske oblasti so takoj po koncu vojne zbrale številna pričevanja o posilstvih, ki so se zgodila po bitki pri Kobaridu.
Vir: Andrea Falcomer, Gli »orfani dei vivi«. Madri e figli della guerra e della violenza nell'attività dell'Istituto San Filippo Neri (1918–1947), 2009.
Leta 1917 se je tu v Casetanu zadrževal pehotni bataljon. Vojak, ki ga nisem poznala, me je posilil in sem zanosila.
Duhovniki so v spomenicah, ki so jih pošiljali ljubljanski škofiji, pisali o spolnem nasilju nad ženskami v kranjskem zaledju.
Vir: Nadškofijski arhiv Ljubljana.
Odkar je nastanjeno v kraju vojaštvo, gre prej na slabše. Mnogi vojaki so nasilni. Bilo je več deklet napadenih.
Mekinje, 3. 5. 1916.
Le proteste per «il pane e la pace»
Le privazioni acuitesi negli ultimi due anni di guerra costrinsero le donne a scendere in piazza. Le loro dimostrazioni, svoltesi in numerose città europee, hanno avuto importanti conseguenze sullo sviluppo degli eventi bellici. A San Pietroburgo le donne russe manifestarono in massa durante la giornata internazionale della donna, ossia l’8 marzo 1917. Queste manifestazioni per «il pane e la pace» ebbero l’effetto di un’importante scintilla che alla quale vanno aggiunti i moti rivoluzionari di febbraio e ottobre (secondo il calendario giuliano), e quindi la caduta dello zar. Il rigurgito rivoluzionario in Russia ebbe l’effetto di risvegliare le organizzazioni operaie nel resto dell’Europa provocando un’ondata di proteste ben organizzate, che raggiunse anche le città slovene. Infatti negli ultimi giorni del mese di aprile del 1918 ripresero le manifestazioni a Lubiana con disordini che sfociarono in saccheggi e che furono repressi con l’arresto di numerose donne. In seguito molte tra quelle arrestate furono messe in libertà, senza condanna a causa della nuova compagine istituzionale a fine guerra e la dissoluzione dell’Impero.
Per la nazione
Anche se alle donne non era stato vietato l’accesso alla politica durante la guerra, molte associazioni avevano comunque cessato le loro attività. Soltanto durante gli ultimi due anni di guerra, mentre aumentava lo scontento, i sentimenti antigovernativi e il desiderio di pace si trasformarono in movimento politico, del quale facevano parte pure le donne. Se prima della guerra le donne riuscivano ad esprimere la loro fede politica unicamente a livello individuale, con la nascita del movimento favorevole alla Dichiarazione di maggio e quindi a una compagine jugoslava indipendente aumentò rapidamente il numero delle donne attive in politica. Nello scenario politico sloveno incominciarono a comparire le donne in qualità di attori politici importanti. Il loro campo d’azione non si limitava unicamente al sostegno ad una politica, comunque diretta dai maschi, ma anche all’organizzazione in proprio di raduni e assemblee di una certa importanza. In queste occasioni era rivendicata l’unificazione del territorio sloveno in un unico Stato per il quale era auspicato un futuro migliore. Timidamente veniva pure avanzata l’istanza del voto alle donne.
Med množico v dvorani Union je bila tudi Angela Vode.
Vir: Angela Vode,
Spomin in pozaba, 2000.
»… v glavi mi je šumelo od navdušenja:
da zmore tudi naš mali narod kaj takega,
da se upira oblasti …«
Slovenke v Wilsonovih pozivih niso prepoznale le zahteve po večji enakopravnosti med narodi, temveč tudi med spoloma.
Vir: Zgodovinski arhiv Ljubljana.
»… demokratično enakopravnost in samoodločbo, ne le za vse zatirane narode, nego tudi za vse zatirane stanove in za zatirani ženski spol.«
1918 e la situazione del dopoguerra
L’opposizione alla guerra non faceva che crescere negli ultimi anni del conflitto creando in questo modo le condizioni per numerosi disordini. La fine della guerra portò alla dissoluzione degli Stati imperiali facendo nascere al loro posto nuove formazioni statali. In questo contesto politico ed economico presero nuova forza i conflitti etnici mentre andava peggiorando la situazione sociale. Il periodo di instabilità del dopoguerra si prolungò anche negli anni Venti. Le conseguenze della guerra totale rimanevano evidenti a tutti i livelli della società post bellica.
La popolazione civile era costretta a confrontarsi con gli effetti prodotti da una distruzione indiscriminata, con una crisi economica e demografica estremamente grave, con le malattie e la malnutrizione. Sulle ceneri della monarchia asburgica nascevano nuovi Stati che in molti casi si rifiutavano di concedere la cittadinanza a chi ne aveva diritto, giacché tendevano a garantirsi un territorio omogeneo sotto il profilo nazionale. Questa politica colpì gli appartenenti alle minoranze etniche a volte anche attraverso azioni violente. A quel punto molti erano costretti a emigrare, altri scelsero di rimanere sui territori in cui si erano insediati come profughi durante il periodo bellico, tra questi molte rifugiate provenienti dal Litorale, tanto più se rimaste vedove di guerra.